lunedì 15 giugno 2009

COSA BOLLE IN PENTOLA?...UN PRIMO COMMENTO ALLA RICERCA-AZIONE

venerdì 12 giugno 2009

A PROPOSITO DI EDUCAZIONE. Il discorso del Santo Padre ai Vescovi italiani

L’educazione è un compito fondamentale per la Chiesa e la società italiana: Benedetto XVI lo ha ribadito parlando ai vescovi italiani, ricevuti in Vaticano in occasione della loro assemblea generale. Il Papa ha sottolineato che per essere buoni educatori bisogna unire autorità ed esemplarità.

Tre "versioni" di Papa Benedetto XVI


“C’è bisogno di educatori autorevoli a cui le nuove generazioni possano guardare con fiducia”: è il vibrante appello levato stamani da Benedetto XVI nell’udienza ai vescovi italiani che proprio al compito fondamentale dell’educazione hanno dedicato la loro assemblea. “La difficoltà di formare autentici cristiani – ha avvertito il Papa – si intreccia fino a confondersi con la difficoltà di far crescere uomini e donne responsabili e maturi, in cui coscienza della verità e del bene e libera adesione ad essi siano al centro del progetto educativo”: “Un vero educatore mette in gioco in primo luogo la sua persona e sa unire autorità ed esemplarità nel compito di educare coloro che gli sono affidati. Ne siamo consapevoli noi stessi, posti come guide in mezzo al popolo di Dio, ai quali l’apostolo Pietro rivolge, a sua volta, l’invito a pascere il gregge di Dio facendoci «modelli del gregge»”. Quella dell’educazione, ha detto il Papa, è “un’esigenza costitutiva e permanente della vita della Chiesa” che oggi tende ad “assumere i tratti dell’urgenza e, perfino, dell’emergenza”. E’ allora necessario, ha avvertito, riflettere su un progetto educativo “che nasca da una coerente e completa visione dell’uomo” che può “scaturire unicamente” da Gesù Cristo. E’ Lui, ha proseguito, il Maestro “alla cui scuola riscoprire il compito educativo come un’altissima vocazione” a cui ogni fedele è chiamato: “In un tempo in cui è forte il fascino di concezioni relativistiche e nichilistiche della vita, e la legittimità stessa dell’educazione è posta in discussione, il primo contributo che possiamo offrire è quello di testimoniare la nostra fiducia nella vita e nell’uomo, nella sua ragione e nella sua capacità di amare. Essa non è frutto di un ingenuo ottimismo, ma ci proviene da quella «speranza affidabile» (Spe salvi, 1) che ci è donata mediante la fede nella redenzione operata da Gesù Cristo”. Il Papa ha auspicato la realizzazione di un’alleanza educativa tra coloro che hanno responsabilità in questo ambito. Quindi, ricordando che domenica prossima si conclude il triennio dell’Agorà dei giovani italiani, ha invitato i presuli a verificare il cammino educativo in atto e a intraprendere nuovi progetti per i ragazzi. Ma, ha aggiunto, l’educazione non può riguardare solo le nuove generazioni: “L’opera formativa, infine, si allarga anche all’età adulta, che non è esclusa da una vera e propria responsabilità di educazione permanente. Nessuno è escluso dal compito di prendersi a cura la crescita propria e altrui verso la «misura della pienezza di Cristo»”.

giovedì 4 giugno 2009

LA CRISI DEL MODELLO DI COMPETIZIONE ESTREMA

Di seguito un interessante articolo sugli effetti drammatici della crisi econmica. Un articolo che fa riflettere molto sulla gravità dei problemi del nostro tempo, evidenziandone i risvolti socio-familiari anche nei loro aspetti individuali, aprendosi ad un epilogo comunque propositivo.
Ne è autore il nostro amico Francisco Mele che ringraziamo anche per l'attenzione che continua a rivolgere alla nostre attività.

LA CRISI DEL MODELLO DI COMPETIZIONE ESTREMA

di Francisco Mele




Una lettura triadica in cui si tiene conto dell’individuo nel rapporto con le istituzioni può essere affrontata secondo la triade dell’etica della personalità sviluppata da Paul Ricoeur: la stima di sé, il rapporto con l’altro, il rapporto all’interno di istituzioni giuste.
Un’altra triade da considerare è: io, famiglia, istituzioni, inserita in un contesto sociale, che, nel nostro caso sarebbe il mercato. Alcuni definiscono questa crisi la crisi di un modello di mercato capitalista globalizzato, che doveva portare ad uno sviluppo mondiale in cui tutti i paesi sarebbero cresciuti e avrebbero raggiunto un livello maggiore di benessere. Questo paradigma che ha coinvolto tutti e trascinato ogni economia in un vortice di accelerazione e di esasperazione della competitività.

L’azienda familiare – base essenziale del modello economico italiano – partecipa delle dinamiche proprie del sistema familiare e delle istituzioni sociali. Essa si trova in una zona in cui si fondono i due sistemi privato e pubblico, della famiglia e delle istituzioni sociali, assumendone di entrambi alcuni caratteri che la rendono oscillante a livello di dinamiche interne le quali la spostano verso conflitti che appartengono a componenti della famiglia proprietaria dell’azienda intrecciata con l’altro versante dalle dinamiche proprie della piccola comunità.

L’azienda così configurata si presenta sotto l’aspetto dell’azienda familiare anche per quanto riguarda i dipendenti, spesso parenti fra loro, e altrettanto sovente avvicendatisi ad altri membri della loro famiglia, in precedenza dipendenti. Elementi caratterizzanti che compattano tale azienda sono la tradizione e la fiducia reciproca.

Si è instaurato fin dagli inizi un rapporto di vicinanza e di comuni finalità che superano la differenza di figure fra il proprietario ed il dipendente, il quale a sua volta si sente investito della proprietà stessa dell’azienda attraverso il lavoro che lo fa in un qualche modo partecipare della proprietà. Questo sistema, se funziona bene e se l’armonia è presente, diventa una struttura di protezione dell’io, sia da parte del proprietario che dei dipendenti.
Quando tuttavia all’interno della famiglia del proprietario si vengono a creare dei forti contrasti fra i suoi membri, il conflitto si riversa nell’azienda venendosi ad innescare un processo di conflittualità che non risparmia nessuno. Allo stesso modo tensioni all’interno dell’azienda possono riversarsi sulla famiglia del proprietario.

Fino a che i rapporti tra dipendenti e proprietario mantengono un livello di giustizia, di stima reciproca e di adeguata retribuzione, la situazione permane senza la necessità di forme di controllo.
Un elemento determinante nel bloccare processi di autoritarismo e arbitrarietà è il sindacato, che dovrebbe intervenire per difendere gli interessi dei lavoratori messi in pericolo dalla gestione autoritaria o ingiusta. Si è innescato un meccanismo di ostilità che pare cancellare il rapporto dei reciproca stima e di rispetto dei rispettivi diritti. Questo genere di rapporti rischia talvolta di rivelarsi paternalistico: finché gli affari vanno bene, il mercato risponde e gli utili consentono il guadagno per l’imprenditore e il pagamento di un salario equo, il conflitto si mantiene a livelli gestibili. Quando subentra la crisi economica, tutto viene messo in discussione. Se i dipendenti hanno potuto aderire ad un sindacato, vi faranno ricorso. Ma spesso nelle piccole aziende il sindacato viene visto come l’intrusione di un nemico, e quindi i dipendenti non vi sono iscritti. Anche se questi dipendenti si iscrivono in questa occasione di crisi, il rapporto pacifico di tipo familiare è infranto, e viene vissuto dall’imprenditore come un tradimento. Subentra il sospetto reciproco.

In un momento di crisi – come l’attuale – i managers sono sottoposti ad una forte pressione psicologica che induce a comportamenti di pressione nei riguardi dei propri dipendenti. Talvolta essi ricorrono a controlli ossessivi che danno loro l’illusione di riuscire a controllare l’incertezza della situazione, in realtà i controlli diventano inutili perché tutto si concentra sul controllo – dell’orario, dei vari passaggi della produzione prima lasciati agli automatismi ed alla fiducia nel lavoro dei dipendenti ecc. - , senza poter essere mentalmente liberi di comprendere l e variabili complesse che influiscono sul mutamento economico. In realtà sia i managers che i loro dipendenti si sentono vittime della situazione, ma allo stesso tempo essi vivono un senso ci colpa per il mancato raggiungimento degli obbiettivi ottenuti prima della crisi; soprattutto si sentono responsabili di non aver cambiato modo di lavorare, in tempo per fronteggiare la crisi: ma nessuno avrebbe potuto farlo attraverso una personale previsione, che nessuno poteva definire, mancando a tutti la svariata molteplicità dei fattori concorrenti. Cosa che neanche gli economisti a livello mondiale prevedevano. Quei pochi che avevano anticipato qualche previsione di questo genere, non erano stati creduti, o ritenuti teorici staccati dalla realtà di situazioni che parevano solide; in effetti si è trattato di pensatori che poco potevano influire sull’andamento pratico del mercato, essendo vincente fino allo scoppio della crisi il modello economico della crescita veloce e illimitata.

Davanti a questa situazione, molti managers si trovano soli, perché devono salvare la propria azienda, ed è difficile che il leader si metta a cercare aiuto dal punto di vista psicologico. Molti di loro si sono costruita un’identità su basi legate all’efficienza, alla rapidità mentale nel capire lo sviluppo di una situazione, la consapevolezza di avere una volontà ferrea sperimentata nella gestione dell’azienda. In molti di loro è radicata l’idea di essere in grado di inventarsi soluzioni ad ogni circostanza critica, ma soprattutto la percezione di una autoefficacia nel risolvere i problemi, in forma autonoma e senza consultare la base cercandone proposte operative. Questo non sempre in forme dittatoriali, ma sentendo la responsabilità di gestire per i propri dipendenti quanto garantito assumendoli.

Va osservato che la produzione di una azienda di tipo familiare può, in caso di necessità, più facilmente mutare il tipo di prodotto offerto; può cambiare con maggior facilità metodi di lavoro, tecnologie, rispondendo con velocità a nuove tendenze o sfide di mercato. Purtroppo è entrata nel mondo del lavoro una psicologia che tendeva a preparare i managers come dei pugili – molti di loro avevano un trainer che li incoraggiava sulla strada del rischio di sempre nuove possibilità, gonfiando l’io della persona -, addestrandoli ad essere presenti sul mercato sotto l’aspetto di lottatori impegnati in una battaglia. Ma questi trainers non preparavano i soggetti a gestire la sconfitta, e al tempo stesso facevano vedere gli altri managers concorrenti come dei nemici da debellare.
Quello che va recuperato è un rapporto di solidarietà fra managers tra di loro e fra managers e dipendenti, proprio in quelle aziende familiari che risentono della crisi sbattutasi sulle grandi aziende prima di tutto e venute a scaricarsi di conseguenza su di loro, fornitori di tutti quegli elementi che concorrono a creare il prodotto massimo.

La nascita della terapia di gruppo avviene durante la Seconda Guerra Mondiale, da un’intuizione di due psicoterapeuti che lavoravano per l’esercito britannico, Harold Bridger e Bion. Essi avevano notato che i piloti degli aerei quando tornavano dalle loro missioni belliche avevano il terrore di risalire sull’aereo. I terapeuti hanno deciso di mettere in gruppo i piloti, in modo che ciascuno potesse parlare con gli altri delle angosce e delle paure. Dopo alcune sedute, la maggior parte di loro è tornata a volare. Bridger[1] fonda poi il Tavistock Institute che ha cercato di portare la psicoanalisi in campo aziendale, facendo leva sulla percezione dei meccanismi inconsci che bloccano il lavoro di gruppo. Sono poi subentrate altre teorie psicologiche e tecniche del mondo delle aziende che hanno avuto più riscontro nel mondo delle aziende: teorie sistemiche, teorie comportamentali, cognitivistiche ecc., fino ad arrivare oggi addirittura a tecniche quasi esoteriche, in cui si studia la possibilità di far convivere delle persone che hanno nei segni zodiacali degli ascendenti compatibili o incompatibili.

Proporrei l’analisi delle organizzazioni a partire dalla teoria di René Girard sulla rivalità mimetica.
Il concetto di meccanismo mimetico elaborato da René Girard può spiegare i processi autodistruttivi che si scatenano nelle microsocietà come le organizzazioni e le istituzioni; soprattutto nelle organizzazioni che nascono intorno a un Padre Fondatore, si mettono in evidenza le dinamiche delle società arcaiche in un contesto definito postnevrotico. Sacro e Profano rappresentano le due facce di una minaccia: il Sacro porta a "santificare" il leader, le sue parole, le sue azioni originarie; il Profano porta a "santificare" l'istituzione. Quando la rivalità mimetica esponenzialmente rischia di creare una vera implosione nel gruppo sociale, una delle formule inventate è quella della vittima propiziatoria o del capro espiatorio. Questo schema di Girard permette di analizzare e comprendere la società postmoderna; nell'Occidente ricco quasi tutti possono avere quello che gli altri hanno, e questo, invece di far diminuire la tensione aggressiva, la aumenta. In una situazione di crisi come l’attuale, la tensione aggressiva può essere diretta verso l’esterno o verso se stesso (suicidio) in quanto aumenta il terrore di perdere quello che si ha; si può sviluppare la convinzione che l’altro vuole e gode per la mia rovina. La lettura deve coinvolgere più persone quelle reali e quelle immaginarie. Una psicologia interindividuale non studia l’individuo come una monade ma inserito in un contesto in cui si mette in gioco tutta la serie di sentimenti propri della rivalità mimetica: l’invidia, la gelosia, il risentimento, l’animo di vendetta.
La crisi economica attuale può essere un opportunità per modificare il paradigma della violenza propria della guerra economica. Si deve tendere a passare da una logica diadica della competizione all’estremo per una logica triadica dell’Etica e del rispetto di una legge più equa che armonizzi il mercato.

Francisco Mele


[1] Harold Bridger è stato uno dei mie maestri. Potete consultare il mio libro (2004) “Le spie dell’incertezza. La famiglia, la scuola, le istituzioni. La costruzione del Sé allo sbando”, Bulzoni, Roma. Consultare http://www.franciscomele.it/ . Nella società post nevrotica i confini si sono liquefatti fra viata privata e vita pubblica, fra il giusto e l’ingiusto, tra la percezione del bello e del brutto.